COVID-19: Volontariato e lavoro. L'appello di Stefano di Stefano, presidente del Comitato Anpas Abruzzo, alla Regione ABRUZZO
01 maggio 2020 - "I nostri volontari (così come quelli di CRI e Misericordie) non sono potenziali untori, ma silenti attori protagonisti di questa emergenza Covid-19."
L'integrazione, formulata il 24 aprile 2020, del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” - Modalità di ingresso in azienda dei lavoratori (punto 2, secondo capoverso) recita:
“Il datore di lavoro informa preventivamente il personale, e chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS”.
Detto in parole povere: tutti i volontari che negli ultimi 14 giorni hanno svolto attività di volontariato ed hanno avuto “contatto” con pazienti positivi o asintomatici, non possono tornare al lavoro. Questa situazione sta generando non pochi problemi tra i volontari preclusi dalle loro attività lavorative e le Associazioni che si trovano a fronteggiare la carenza degli stessi nelle attività quotidiane e di emergenza.
Ritengo, cosi come sostiene la Direzione Anpas Nazionale, che il lavoro e la libertà da parte dei cittadini di associarsi siano, entrambi, diritti sanciti dalla Costituzione, senza discriminazione alcuna.
A ciò aggiungo che il personale soccorritore delle associazioni di volontariato attivo nelle operazioni di soccorso per Covid-19 è già sottoposto a sorveglianza sanitaria.
In una comunicazione inviata al Ministero della Salute e al Ministero del Lavoro, condivisa con il Terzo Settore, Anpas chiede una modifica normativa affinché non vengano discriminati, sui posti di lavoro, i volontari, attori fondamentali per la gestione della emergenza Covid 19.
I volontari Anpas sono donne e uomini che, adeguatamente formati e preparati, svolgono attività di prevenzione del rischio di contagio virale, effettuando quotidianamente servizi di soccorso sanitario e trasporti ordinari sul territorio.
La Regione Lombardia ha normato al riguardo, precisando che “…l’operatore sanitario o altra persona impiegata nell'assistenza di un caso sospetto o confermato di COVID-19 NON è da considerarsi “contatto” quando l’attività assistenziale viene condotta con l’utilizzo completo e corretto dei Dispositivi di Protezione Individuale (definizione “caso sospetto” e di “contatto stretto”). Per l’operatore asintomatico che ha assistito un caso probabile o confermato di COVID-19 senza che siano stati usati gli adeguati DPI per rischio droplet o l’operatore che ha avuto un contatto stretto con caso probabile o confermato in ambito extralavorativo, NON è indicata l’effettuazione del tampone ma il monitoraggio giornaliero delle condizioni cliniche. In assenza di sintomi non è prevista l’interruzione dal lavoro che dovrà avvenire con utilizzo continuato di mascherina chirurgica. In presenza di sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5°C) è prevista l’interruzione temporanea dal lavoro, in coerenza con l’art. 1 comma 1 lettera b) DPCM 08 marzo 2020. Per questa tipologia di lavoratori al fine di poter garantire la ripresa della attività nel minor tempo possibile è prevista l’esecuzione del test”.
Chiedo l’intervento della Regione Abruzzo affinché si pronunci in merito a quanto rappresentato, con l’auspicio che si allinei alle giuste disposizioni impartite dalla Regione Lombardia, quali “conditio sine qua non” per la tutela del lavoratore volontario, ben diverso da un qualunque cittadino che, sfortunatamente, ha avuto contatto con persone positive.
Stefano DI STEFANO
Presidente Regionale ANPAS Abruzzo